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Intervista a Carlo Repetti

18.01.2013

Carlo Repetti è il Direttore del Teatro Stabile di Genova e ha vinto la XIV edizione del "Premio per il Primo Romanzo Città di Cuneo" con il suo libro Insolita storia di una vita normale, edito nel 2011 da "Einaudi".

Questa opera prima racconta la vicenda di un uomo - il padre dell'autore - che attraversa tutto il Novecento. Il linguaggio è deciso e potente, ogni parola non è lasciata al caso, quasi a voler formare una sinfonia suonata dalle mille voci e dai mille luoghi narrati.

Incontro Carlo Repetti poco prima che sia premiato, al "Circolo "'l Caprissi", seduti ad un tavolino dal sapore antico.

Come nasce Insolita storia di una vita normale'?
E una storia che avevo dentro da tanto, è una storia che trae origine dai racconti di mio padre c di mia zia soprattutto. È la storia di un uomo anziano, che poi è di latto mio padre, che attraversa dalla nascita alla morte il Novecento. È una storia famigliare, perciò. E una storia che nella sua ossatura centrale è reale ed a questa ossatura centrale, come sempre succede nei romanzi, viene data una carne, il sangue e dei muscoli di invenzione. Scrivendola, non ho solo cercato di lasciare memoria di ciò che è stata la vita di mio padre, di mio nonno e della mia famiglia, in parte. Scrivendola, ho cercato di capire che cosa fosse realmente successo a quelle persone in quegli anni. E una storia particolare, è una storia insolita ma di una vita normale, come dice il titolo del libro.

II suo libro è un romanzo di formazione, un "bildungsroman" dei giorni nostri. Perché ha scelto proprio questo genere?
A me è venuto naturale. Io ho avuto sempre un bellissimo rapporto con mio padre. Negli ultimi anni della sua vita, quando ha avuto dei problemi di salute, l'ho accompagnato più costantemente in certi suoi fine settimana a rivisitare i luoghi in cui lui aveva vissuto. Fra questi, ad esempio, un convento nel quale lui, quando era tornato dalle Americhe, come si diceva un tempo, era entrato giovanetto. Queste giornate con mio padre avevano l'andamento da parte sua del racconto. Nella mia memoria soprattutto hanno avuto l'andamento di un racconto, di un flusso di memoria che il padre ha nei confronti del figlio quando capisce che sono arrivati gli ultimi suoi giorni. Perciò è stato un naturale trasporre sulla pagina quanto realmente avevo vissuto.

A pagina 4 del suo libro si legge: "Il padre parla guardando verso il filo dell'orizzonte, come se le cose che racconta potesse vederle davvero, in un film lontano proiettato là in fondo. E in effetti quei ricordi arrivano da una terra molto di¬stante e da un tempo lontano". Sta parlando del Sud America. Lei personalmente vede quelle terre come un luogo di speranza o di speranze perdute?
Io le ho vissute e le ho viste soltanto in relazione ai tempi in cui questa storia è accaduta. In quei tempi, quei luoghi erano per italiani che partivano luoghi di speranza reale. Però in questo libro è anche raccontato il viaggio di ritorno degli emi-grati. Mio nonno con tutta la sua famiglia che là si era formalo, con una moglie, con cinque figli, di cui uno era morto in America, decise di tornare in Italia e io ho raccontato, forse per la prima volta, il viaggio di ritorno degli emigrati, non quello di andata. Di solito non vengono raccontati i viaggi di ritorno.

E cosa c'è di particolare in questo viaggio di ritorno?
Ci sono molte cose, ma una fra tutte emerge più forte: il fatto che su questa nave che, all'andata, era tutta fatta di "viaggiatori della speranza", c'è un mix di viaggiatori, quelli che tornano avendo conquistato qualcosa, avendo conquistato la ricchezza ed un posto, c quelli che tornano sconfitti come quando erano partiti. Questo è un dato importante, perché si deve sapere che l'emigrazione è stato un fenomeno incredibile nella Storia del nostro Paese, di cui troppo poco noi abbiamo parlato e continuiamo a parlare, ma che ha riguardato più di venti milioni di persone. Molti di quelli che sono parliti sperando di migliorare la loro vita, invece, non ce l'hanno fatta. Perciò l'emigrazione è stato un setaccio di quella che è l'esistenza umana.


La storia si svolge intorno a tutto il Novecento. Il Novecento è stato un secolo di grandi dittature, di due Guerre Mondiali che hanno cambiato per sempre la nostra Storia. Quanto è importante la trasmissione della memoria, soprattutto nei confronti di noi giovani?
Importantissima. Io credo che il Novecento sia stato un secolo pessimo per la Storia dell'uomo. Guerre, dittature, campi di concentramento, genocidio, ma non soltanto quello in Germania, terribile, contro gli Ebrei, anche quelli in Asia, quelli delle dittature comuniste. Io credo che la memoria non è il ricordo della singola persona, è ciò che dei ricordi delle singole persone vale la pena di tramandare. E una ricchezza fondamentale per i giovani, proprio per cercare anche loro, come ho fatto io in questo libro, di capire meglio quello che è accaduto, perche capendo si possono fare delle scelle e, forse, capendo si possono compiere un po' meno errori di quanti siano stati fatti nel passato.


Perché ha scelto proprio l'ultimo giorno dello scorso millennio per la morte del protagonista?
E una motivazione puramente simbolica. Mio padre morì il primo gennaio del '97. Il protagonista di questo libro, che poi è la figura di mio padre, muore il trentun dicembre 1999. Muore alla fine del secolo; c la sua morte è in maniera grottesca, ironica c tragicomica, a significare cos'è la vita di lutti noi. La morte è accompagnata dal fatto che fuori ci sono i fuochi d'artificio che festeggiano la fine del secolo, la fine del millennio. Perciò vuole essere altamente simbolica la scelta di questo gior-no di questo anno.


Lei e il Direttore del Teatro Stabile di Genova. Quale è la differenza fra il narrare una storia per un pubblico che può vedere c scriverne una per lettori che non riesce a fissare negli occhi?
E fondamentale. Sono due tecniche, due mondi narrativi completamente diversi, perché una storia in teatro è continuamente influenzata, cambiata dal fatto che, mentre la si racconta, è presente un attore importante in quella storia, che è il pubblico, il quale da sera a sera cambia il modo di raccontarla. L'attore è mollo influenzato dai pubblici completamente diversi che si trova davanti ogni sera. Per l'autore di romanzo questo non è, perché l'autore di romanzo crea un'opera che verrà destinata ad un utilizzo molto personale, a un tu per tu con i vari lettori. Se c'è una cosa che ha accomunato il mio lavoro al lavoro teatrale è che il teatro, molto chiaramente, si identifica c testimonia e raccoglie la forza significante che la parola ha e può avere. Una parola, in teatro, è detta una volta e deve avere forza, perché deve catturare il pubblico nel suo significalo in quel momento, hic et nunc. Io ho cercato di far mia questa lezione, le cose che ho imparato scrivendo per il teatro e portarla anche sulla pagina di questo romanzo, dove ho cercato che la parola fosse sempre significante, una parola importante, una parola che allontanasse da un rischio che nel raccontare questa storia a me ed ai mici sentimenti c'era: il rischio del patetismo. Una parola perciò sobria, essenziale al più possibile.

Quale è il suo rapporto con la Letteratura? Predilige i classici o gli autori emergenti?
I classici sono i classici, quasi è pleonastico dirlo. Sono dei maestri per tutti noi, sono diventati classici perché la memoria collettiva ha sedimentato alcuni libri più importanti di altri. E interessante seguire anche quello che è lo sviluppo del pensiero letterario e del pensiero creativo. Io non ho alcuna predilezione, sono un po' onnivoro nel leggere, anche cose che non riguardano la narrativa. Onnivoro nel leggere la saggistica, la Storia forse un po' meno; un tempo ho molto amato l'antropologia culturale e la poesia. Insomma, tutto ciò che deriva dalle parole e le parole contengono qualcosa che mi interessa molto.


Quale libro consiglierebbe ad un giovane che non sa che cosa leggere?
Per un giovane, consiglierei un grande autore come Albert Camus, ne Lo straniero o ne La peste, due grandi libri che possono introdurre in maniera interessante e stimolante al mondo della lettura. Poi. consiglierei Elsa Morante, con L'isola di Arturo. Insomma, libri di questo genere.

Lei è stato Assessore per due mandati a Genova. Quanto è importante la cultura nel Duemila?
Sarebbe fondamentale. Bisognerebbe che anche chi decide le nostre sorti dal punto di vista politico se ne rendesse conto. Ma non solo perché una civiltà senza cultura non è una civiltà, non solo perché una nazione senza cultura non è una nazione, non solo perché una città senza cultura non è una città, non solo perché una comunità senza cultura non è una comunità, perché la cultura si mangia, contrariamente a quanto ha detto qualcuno. La cultura dà da mangiare, la cultura è l'unico nutrimento che esista per l'uomo per far crescere una cosa fondamentale: il cervello. La mente non cresce con i panini o con il salame, con quello cresce il corpo e crescono i muscoli. L'unico nutrimento per la mente di lutti noi e per la sua libertà che è la condizione vera, principe e, forse, unica nella quale la mente deve vivere, è la cultura.

Intervista di Jacopo Giraudo